La storia -vera- di due uomini solo in apparenza divisi dal conflitto e uniti dalla perdita. Sia Rami - un israeliano di Greusalemme da generazioni- che Bassam -arabo, palestinese- hanno perso una figlia; il primo in un attentato e il secondo a causa di un proiettile di gomma sparato per errore da un soldato diciottenne dell’esercito israeliano.
Un libro che, oltre a raccontare la quotidianità di Israele e Palestina, mostra l’umanità degli affetti che sono a prescindere dalla provenienza, dallo nazionalità e dalla razza. Il dolore puó scatenare rabbia e voglia di vendetta ma si puó dare senso alla morte di un figlio innescando dialogo, vicinanza e fratellanza. “Non finirà finchè non ci parliamo” dice l’adesivo sulla moto di Rami. Nessun conflitto finirà mai senza lo spazio di ascolto dell’altro, senza sentire anche le sue ragioni.
Forse il più bel libro che abbia letto su Israele e Palestina -sì, mi è piaciuto più di Eshkol Nevo, più di Amos Oz-. L’autore ci chiede di seguirlo nelle sue associazioni in cui gli uccell diventano i razzi, i Palestinesi diventano Irlandesi, i numeri dei carcerati diventano teorie matematiche e creano legami. La lettura è scorrevole anche se non semplicissima. È un libro che tutti dovremmo leggere, per ricordarci la potenza di uno sguardo benevolo sull’altro.
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